Aladino era un ragazzo che abitava in una città della lontana
Arabia, e che non aveva una gran voglia di lavorare. Anzi, non ne
aveva nessunissima voglia. Inutilmente suo padre, che faceva il
sarto, lo rimproverava, lo incitava a cercarsi un’occupazione:
"Diventerai uomo e ti dispiacerà d’aver perduto tanto tempo.
Agli oziosi vengono brutte idee per la testa".
"Sarà quel che sarà", rispondeva Aladino.
Morto il padre, il ragazzo continuò a bighellonare da mattina a
sera. E un giorno, mentre stava giocando, come al solito, con
alcuni amici, gli si avvicinò un forestiero.
"Sei tu il figlio del sarto?", gli domandò costui.
"Sì", rispose Aladino, "ma mio padre è morto da qualche anno".
Il forestiero si mise a piangere: "Povero fratello mio. Ero venuto
qui dall’Africa, dove vivo, per riabbracciarlo. Oh, che disgrazia!".
"Voi dunque sareste mio zio?", si stupì Aladino. "Non
assomigliate a mio padre nemmeno un po’. Comunque venite,
vi porto da mia madre".
Nemmeno la donna aveva mai saputo dell’esistenza di quello
zio, che tuttavia le piacque perché assicurava di volersi prendere
cura di Aladino, che lo avrebbe indotto a lavorare, e l’avrebbe
fatto diventare ricco.
"Verrai con me. Ti porterò in un posto che sarà la tua fortuna",
disse. E, preso per mano Aladino, che in realtà avrebbe preferito
restarsene a casa, lo costrinse a seguirlo.
Camminarono per alcune settimane finché, giunti in una radura,
il forestiero rivelò ad Aladino chi egli fosse in realtà.
"Non sono tuo zio, ma un mago. Ho deciso di renderti ricco, anziricchissimo. Lo vedi questo macigno? È pesante, ma tu dovrai
spostarlo. Lì sotto c’è una caverna piena di diamanti. Ci entrerai
e quell’immenso tesoro sarà tuo".
Aladino era molto diffidente. E aveva ragione. Lui non lo sapeva,
ma quello era un mago cattivissimo. Attraverso terrificanti
sortilegi aveva scoperto dov’era nascosto il più fantasmagorico
tesoro del mondo, che contava, tra le tante meraviglie, una
piccola lampada dagli straordinari poteri. Ma aveva anche
scoperto che c’era una pietra a chiudere l’antro in cui quel
tesoro era custodito, e che a sollevarla poteva essere una sola
persona: quel fanciullo di nome Aladino. Così, intendeva servirsi
di lui.
Per vincere la diffidenza di Aladino, perciò, il mago non esitò a
consegnargli un anello.
"Mettilo al dito, non togliertelo mai. È un anello magico: ti sarà
d’aiuto in tante occasioni. In cambio, tu per me dovrai fare una
cosa: portarmi la piccola lampada che troverai in fondo alla
caverna".
Incuriosito, Aladino a quel punto decise di spostare il macigno.
Sotto c’era una scala che scendeva, profondissima, e il ragazzo
la discese. Si trovò così in una grandissima caverna, con degli
alberi meravigliosi dai cui rami pendevano, invece dei frutti,
grappoli di brillanti, e ce n’erano da riempire cento sacchi, a
raccoglierli.
Aladino non sapeva che cosa fossero i brillanti, però il loro
luccichio gli piacque. Così ne colse alcune manate e se ne riempì
le tasche.
Vide anche la lampada. La prese, e cominciò a risalire verso
l’imboccatura della caverna, dove il mago lo attendeva semprepiù impaziente.
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